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Edilizia sostenibile: i nuovi materiali su cui investire

Secondo l’ONU il 37% delle emissioni di CO2 e oltre il 34% dei consumi globali di energia dipendono dalla filiera edile. Urge un cambio di rotta in Italia e in Europa. Legno, canapa, sughero e lana sono materiali su cui investire. E resta aperto il tema delle certificazioni.

Cercare di ridurre le emissioni di CO2 è diventata la priorità di tanti settori economici, soprattutto di quelli che in passato erano considerati più “energivori” e inquinanti compresa l’edilizia.
Per questo a metà degli anni Novanta è nato il concetto di "impronta ecologica" che con il passare del tempo, grazie all’introduzione di politiche sempre più stringenti in ambito di sostenibilità, si è affermato come vero e proprio indicatore di riferimento.

Attenzione all'impronta ecologica

Nel settore edile l’impronta ecologica di un immobile è data dalla somma delle impronte di carbonio dei singoli materiali utilizzati e delle emissioni dei processi produttivi correlati. Non a caso secondo il “2022 Global Status Report for Buildings ad Construction” dell’ONU, report che fornisce un’istantanea annuale dei progressi del settore su scala globale e che è il più recente in circolazione, il 37% delle emissioni di CO2 e oltre il 34% dei consumi globali di energia dipendono dalla filiera edile.

Gli investimenti nella decarbonizzazione degli edifici hanno superato i 285 miliardi di dollari nel 2022, ma rispetto agli anni passati si prevede una loro contrazione dovuta in gran parte a un contesto in cui investire risulta meno favorevole a causa dell’aumento dei costi.

Per raggiungere l’obiettivo del Net Zero Carbon degli edifici esistenti e per quelli di nuova costruzione sono necessarie politiche forti, come la Direttiva EPBD in grado di supportare e migliorare l’efficienza energetica e abbattere le emissioni di CO2 derivanti dall’utilizzo di materiali da costruzione, oltre che di importanti investimenti (anche pubblici attraverso incentivi adeguati) nell’architettura sostenibile, un modo di progettare e costruire immobili e interi spazi urbani con il minimo impatto sull’ambiente.

I nuovi materiali ecosostenibili

Come detto l’impronta ecologica di un immobile altro non è che la somma delle impronte dei singoli materiali utilizzati per la sua costruzione. Quindi maggiore è la quantità di materiali di origine naturale o vegetale utilizzati (compresa la loro lavorazione) maggiore sarà la sostenibilità finale dell’immobile.

In Italia però solo il legno (insieme al calcestruzzo, all’acciaio e al laterizio) è riconosciuto come materiale strutturale. Per questo motivo negli ultimi anni gli attuali contesti urbani stanno cercando di utilizzare questo materiale con più frequenza e le dovute attenzioni applicando politiche di sostenibilità non tanto e non solo alla natura del prodotto utilizzato ma soprattutto alla modalità di lavorazione.

Per esempio, una carta da giocare per vincere la sfida della sostenibilità nell’edilizia è quella dei biomateriali, prodotti a base di scarti agricoli che se utilizzati in modo virtuoso e duraturo aiutano a fare progressi. Servono per superare i limiti anche dei truciolari, etichettati (a ragione) come prodotti problematici perché, sebbene siano a base di scarti di legno, vengono aggregati con colle e resine molto inquinanti e in molti casi presentano livelli di formaldeide troppo elevati. (anche perché dal 2008 è obbligatorio certificare che i materiali sono a basso contenuto di formaldeide -E1- o che ne sono completamente privi -FF-).

Inizia a farsi grande uso anche dei biopolimeri, ovvero materiali a base di plastica creata però da materie vegetali come barbabietola e canna da zucchero.

Ma non solo. Tra i materiali non strutturali più promettenti in ottica futura spiccano il sughero, la lana, la canapa e i sottoprodotti di filiere alimentari, forestali e tessili. Composti che possono aprire un nuovo scenario nell’edilizia moderna portando a processi più efficienti e meno impattanti per l’ambiente.
In particolare, un esempio di materiale “green” oggetto di approfonditi studi è la canapa, ideale per l’isolamento termico degli edifici e apprezzata per via di una coltivazione che necessita di pochissima acqua (si evita un eccessivo spreco idrico), in grado di assorbire la CO2 nell’aria (riduce le emissioni di carbonio) e di crescere molto velocemente anche in climi mediterranei (non ha bisogno di essere importata).

Le certificazioni? non sono tutte uguali

Detto tutto questo, torniamo però al problema iniziale: utilizzare materiali lavorati come indicato nei paragrafi precedenti significa mettere in campo importanti investimenti soprattutto in tecnologia. Poche aziende edili possono permetterselo, e se lo fanno, usano molto questa politica anche come leva di marketing.

Tuttavia, c’è certificazione e certificazione. Alcune aziende ottengono solo la tipo 2, una semplice autodichiarazione con cui affermano di usare prodotti riciclati, privi di sostanze tossiche e di rispettare alcuni parametri di sostenibilità. Non prevede organismi esterni di controllo e dunque non brilla in autorevolezza e affidabilità.

Diversa è la certificazione di tipo 3 (meglio definita come Environmental Product Declaration o EPD) realizzata da soggetti esterni all’impresa che analizzano l’intero ciclo di vita del prodotto e ne verificano l’impatto ambientale e gli standard di sostenibilità.

Infine, ci sono le certificazioni di tipo 1 che assegnano delle vere e proprie “etichette ambientali” da parte di organismi indipendenti spesso internazionali. Il massimo della certificazione di sostenibilità a cui però oggi possono accedere solo colossi dell’edilizia green.